Salotto letterario

Identità e conformismo

Iden­ti­tà e conformismo 

Tut­te le case edi­tri­ci ope­ra­no in un con­te­sto eco­no­mi­co. Le leg­gi di que­sto siste­ma decre­ta­no, inop­pu­gna­bi­li, il suc­ces­so o l’insuccesso di una socie­tà e del suo pro­get­to. L’editore let­te­ra­rio si con­fron­ta con mol­ti inter­lo­cu­to­ri: gli agen­ti, gli scout, i tipo­gra­fi, i pro­mo­to­ri, i distri­bu­to­ri, i librai. In un equi­li­brio mobi­le, le doman­de e le offer­te si incro­cia­no e, dal­la sin­cro­nia che ne nasce, il lavo­ro di uno scrit­to­re può incon­tra­re l’attenzione di un lettore.

Se pure non può esser­ne il fine, la soste­ni­bi­li­tà finan­zia­ria deve accom­pa­gna­re un’impresa cul­tu­ra­le ver­so i suoi, più nobi­li, obiet­ti­vi di sco­per­ta, valo­riz­za­zio­ne e dif­fu­sio­ne dell’arte. L’editore let­te­ra­rio deve assi­cu­rar­si che i ver­si di ogni libro rimi­no con la linea di fon­do di un bilan­cio, che le sto­rie del suo cata­lo­go per­met­ta­no a chi le rive­de, le impa­gi­na e ci lavo­ra con amo­re un cor­ri­spet­ti­vo eco­no­mi­co all’al­tez­za del­la mansione.

Pur mos­si da inten­zio­ni ed esi­gen­ze nobi­li, mol­ti edi­to­ri han­no pre­ser­va­to la soste­ni­bi­li­tà rin­ne­gan­do la loro iden­ti­tà. Se soste­ne­re un’idea, la pro­pria, quan­do si è soli tra mol­ti, è piut­to­sto dif­fi­ci­le, più sem­pli­ce è ade­guar­si a un’idea comu­ne, mag­gio­ri­ta­ria, che si disco­sta però dai pro­po­si­ti ori­gi­na­ri. E di qui nasco­no i com­pro­mes­si: i cata­lo­ghi apro­no a libri ina­de­gua­ti, le cura­te­le si rive­la­no imper­fet­te, le tra­du­zio­ni infedeli.

Un edi­to­re let­te­ra­rio non può dimen­ti­ca­re le rego­le del siste­ma eco­no­mi­co, ma deve cer­ta­men­te lavo­ra­re per­ché la pro­pria voce giun­ga, niti­da, a chi lo ascol­ta. Può pre­pa­ra­re la stra­da ai pro­pri testi e, se il ter­re­no è acci­den­ta­to, spia­nar­lo per quan­to è pos­si­bi­le. Resta­re sui pro­pri pas­si, mal­gra­do la fati­ca, piut­to­sto che pren­de­re una scor­cia­to­ia qual­sia­si. Un edi­to­re let­te­ra­rio, insom­ma, deve ven­de­re mol­te copie dei libri che sce­glie e non sce­glie­re i libri che ven­do­no mol­te copie.

“È un’utopia!”, qual­cu­no sta­rà pen­san­do. For­se lo è. Ed è per que­sto che Uto­pia si chia­ma così.