Da lettori a lettori

Da let­to­ri a lettori 

La let­tu­ra innan­zi­tut­to. Chiun­que si inte­res­si ai libri, a qual­sia­si tito­lo, deve esse­re innan­zi­tut­to un let­to­re. È un let­to­re lo scrit­to­re, che deve cono­sce­re i model­li e la sto­ria del­la let­te­ra­tu­ra per poter appor­ta­re il pro­prio con­tri­bu­to: la crea­ti­vi­tà si nutre di con­ven­zio­ni. È un let­to­re il con­su­len­te edi­to­ria­le, è un let­to­re il tra­dut­to­re, è un let­to­re il vero libra­io, è un let­to­re il cri­ti­co. Anche l’editore, dun­que, è pri­ma di tut­to un let­to­re. E ogni casa edi­tri­ce let­te­ra­ria deve fon­dar­si su un dia­lo­go alla pari tra lettori.

In un’epoca come que­sta, in cui l’istruzione e la cono­scen­za sono un dirit­to di tut­ti e le spe­cia­liz­za­zio­ni si sono mol­ti­pli­ca­te; in un’epoca in cui non esi­sto­no più i con­fi­ni e il mon­do, sem­pre più pic­co­lo tra le mani degli uomi­ni, si spa­lan­ca infi­ni­to oltre oriz­zon­ti un tem­po igno­ti; in un’epoca così, un let­to­re come l’editore deve resta­re in ascol­to degli altri lettori.

Una casa edi­tri­ce let­te­ra­ria deve reg­ger­si per­ciò sul dia­lo­go tra i let­to­ri che la ani­ma­no e i let­to­ri a cui i libri sono indi­riz­za­ti, tra i let­to­ri che si espri­mo­no con le imma­gi­ni e quel­li che cono­sco­no le lin­gue più inso­li­te, tra i let­to­ri che pro­muo­vo­no i libri e quel­li che li sug­ge­ri­sco­no nel­le libre­rie. La let­tu­ra è la costan­te essen­zia­le cui ogni altro ele­men­to si affian­ca. Solo in que­sto modo un pro­get­to edi­to­ria­le può vera­men­te lascia­re un segno. All’e­di­to­re, let­to­re tra i let­to­ri, spet­ta la sin­te­si dei con­tri­bu­ti altrui, per­ché ogni soste­gno sia pre­zio­so, sen­za però alte­ra­re il tono editoriale.

Dispo­ni­bi­le, e non neces­sa­ria­men­te dispo­sto, alle idee degli altri let­to­ri, il let­to­re che sce­glie i libri deve rico­no­scer­si come un tas­sel­lo del mosai­co. Una casa edi­tri­ce al pas­so coi tem­pi, per­ciò, è una casa edi­tri­ce tra­spa­ren­te, nel­le scel­te edi­to­ria­li e nel­le dina­mi­che reda­zio­na­li, che dà e rice­ve con equi­tà dai let­to­ri che la seguo­no. E la precedono…

“È un’utopia!”, qual­cu­no sta­rà pen­san­do. For­se lo è. Ed è per que­sto che Uto­pia si chia­ma così.

L’arte di scegliere i libri

L’ar­te di sce­glie­re i libri 

Al ser­vi­zio dell’arte, a vol­te, si sco­pre l’arte in sé. L’editore, tra gli altri, pren­de ordi­ni dal­la let­te­ra­tu­ra. È sem­pre alla ricer­ca di libri in giro per il mon­do, pro­va a supe­ra­re le bar­rie­re cul­tu­ra­li e lin­gui­sti­che, riper­cor­re a ritro­so gli anni per risco­pri­re una pagi­na sepol­ta dal tem­po. A vol­te la let­te­ra­tu­ra lo aspet­ta in con­ti­nen­ti lon­ta­ni, oltre ocea­ni e cate­ne mon­tuo­se; a vol­te si nascon­de in alfa­be­ti qua­si inde­ci­fra­bi­li; spes­so è a por­ta­ta di mano, ma il tem­po l’ha con­dan­na­ta al silenzio.

Al ser­vi­zio del­la let­te­ra­tu­ra, l’editoria può assu­mer­ne tal­vol­ta la natu­ra e il carat­te­re. All’e­di­to­re, come allo scrit­to­re, non può innan­zi­tut­to man­ca­re la crea­ti­vi­tà. Mol­ti roman­zie­ri han­no rac­con­ta­to l’amore, ma solo i miglio­ri han­no sapu­to scri­ver­ne come fos­se un sen­ti­men­to nuo­vo, per­ché solo i miglio­ri han­no sco­per­to, nel­la più anti­ca del­le for­ze, una cifra nuo­va, che il let­to­re da sem­pre sen­te pro­pria, ma che mai ha rile­va­to prima.

Alla stes­sa manie­ra, mol­ti edi­to­ri han­no rac­col­to un cata­lo­go, ma solo i miglio­ri han­no tra­sfor­ma­to i pro­pri libri nei capi­to­li di un volu­me uni­co, per­ché solo i miglio­ri han­no crea­to, con le pro­prie scel­te, una tra­ma nuo­va, coe­ren­te, che faces­se di mol­te sto­rie una sto­ria sola. Al vero edi­to­re, come allo scrit­to­re vero, si chie­do­no il pen­sie­ro e la poetica.

Ma le asso­nan­ze non fini­sco­no qui. L’editoria let­te­ra­ria si nutre di curio­si­tà. Le occor­re curio­si­tà per sco­pri­re una sto­ria ori­gi­na­le, per aprir­si a una lin­gua eso­ti­ca, per esplo­ra­re una nuo­va area del mon­do o il vec­chio scaf­fa­le di una biblio­te­ca. I gran­di edi­to­ri let­te­ra­ri del pas­sa­to han­no sdo­ga­na­to cul­tu­re, impo­sto mode, crea­to para­dig­mi. Come nel­la let­te­ra­tu­ra, anche nel­l’e­di­to­ria ci sono pochi mae­stri e mol­ti epi­go­ni. Dif­fi­cil­men­te l’epigono ha in dono la curio­si­tà. Ere­di­ta un mon­do e lo tra­man­da sen­za innovarlo.

Infi­ne, lo sti­le. Anche l’editore, come lo scrit­to­re, ne ha uno. Tra­spa­re dal logo, dal­la gra­fi­ca, dal­le imma­gi­ni di coper­ti­na, dal­l’im­pa­gi­na­zio­ne, dal­la qua­li­tà del­la car­ta, dal tipo di carat­te­re, dal­l’ar­ti­co­la­zio­ne del­le col­la­ne. E da tut­te le atti­vi­tà ancil­la­ri alla scel­ta dei testi.

Ma se la crea­ti­vi­tà, la curio­si­tà, il gusto, la poe­ti­ca e lo sti­le avvi­ci­na­no l’editoria all’ar­te pura, for­se all’e­di­to­re si può rico­no­sce­re una voca­zio­ne arti­sti­ca. Espri­me se stes­so attra­ver­so i suoi libri e spe­ra in que­sto modo di lascia­re una traccia.

“È un’utopia!”, qual­cu­no sta­rà pen­san­do. For­se lo è. Ed è per que­sto che Uto­pia si chia­ma così.

Visibile e invisibile

Visi­bi­le e invisibile 

Poche atti­vi­tà, oltre all’editoria let­te­ra­ria, aspi­ra­no a un simi­le obiettivo.

A chi altri si chie­de di asse­con­da­re le ten­den­ze del pro­prio tem­po e insie­me indo­vi­na­re i trat­ti del clas­si­co, del sem­pre­ver­de, di ciò che non invec­chia e che, nei decen­ni, nei seco­li, soprav­vi­ve intatto?

Non all’artista di talen­to, che può esse­re la chia­ve del pro­prio tem­po o può mori­re in soli­tu­di­ne, per­ché la for­tu­na uma­na non infi­cia il valo­re di un libro, di un qua­dro o di uno spar­ti­to. Il vero arti­sta inter­cet­ta l’invisibile e, per quan­to pos­sa lusin­gar­lo, il con­sen­so degli altri non gli è neces­sa­rio. Il gran­de arti­sta non appar­tie­ne al mondo.

Non all’imprenditore di talen­to, che deve vive­re immer­so nel pro­prio tem­po per com­pren­der­ne le imme­dia­te neces­si­tà e stu­diar­ne gli svi­lup­pi. Per quan­to visio­na­rio, il suo suc­ces­so è lega­to ai biso­gni di un’epoca, si nutre del con­sen­so di chi ne bene­fi­cia: può sì attra­ver­sa­re più gene­ra­zio­ni, ma resta al ser­vi­zio degli uomi­ni e, come gli uomi­ni, non dura. Il gran­de impren­di­to­re appar­tie­ne al mondo.

All’editore let­te­ra­rio si chie­de, inve­ce, di anda­re nel mon­do sen­za esse­re del mon­do. Gli si chie­de un’attitudine al visi­bi­le: deve espri­mer­si con il lin­guag­gio del suo tem­po, per­ché se par­las­se una lin­gua incom­pren­si­bi­le, nes­su­no ne capi­reb­be il lavoro.

E per l’editore, come per chiun­que vada nel mon­do, esse­re com­pre­so è sino­ni­mo di esse­re. Al con­tem­po, però, la sua ricer­ca deve scal­fi­re la coraz­za del tran­si­to­rio e affon­da­re nell’universale. Non è un edi­to­re let­te­ra­rio chi, per­den­do­si nell’invisibile, non rie­sce a tra­spor­tar­lo nel mon­do; ma nep­pu­re è un edi­to­re let­te­ra­rio chi, per­den­do­si nel­le sole dina­mi­che del visi­bi­le, dimen­ti­ca che un vero libro soprav­vi­ve agli occhi che l’hanno let­to. O non è un libro.

“È un’utopia!”, qual­cu­no sta­rà pen­san­do. For­se lo è. Ed è per que­sto che Uto­pia si chia­ma così.