Miglior saggio internazionale 2020

Rico­no­sci­men­ti — Miglior sag­gio inter­na­zio­na­le del 2020 

Il pri­mo sag­gio in lin­gua stra­nie­ra di Uto­pia, il nostro “Eco­no­mia del­l’im­per­du­to”, è il miglior sag­gio inter­na­zio­na­le del 2020 per i sei­cen­to giu­di­ci del­la clas­si­fi­ca di qualità.
Gra­zie infi­ni­te a L’In­di­scre­to. A noi tre­ma­no le gam­be, ma ne sia­mo immen­sa­men­te orgogliosi.

Clas­si­fi­ca di qua­li­tà – libri in tra­du­zio­ne del 2020 

Undset — Autodidatta da Nobel

Und­set — Un’au­to­di­dat­ta da Nobel 

Non rice­vet­te un’istruzione rego­la­re. La mor­te pre­ma­tu­ra del padre e una serie di vicis­si­tu­di­ni fami­lia­ri ne fece­ro una fie­ra auto­di­dat­ta. A quarant’anni, però, era già la scrit­tri­ce nor­ve­ge­se più let­ta al mon­do. A qua­ran­ta­sei, fu la ter­za autri­ce nel­la sto­ria a vin­ce­re il Nobel. La meta­mor­fo­si in real­tà di un’utopia.

Fie­ra anti­fa­sci­sta, quan­do Hitler inva­se la Nor­ve­gia fu costret­ta alla fuga negli Sta­ti Uni­ti, viag­gian­do ver­so est. La guer­ra le por­tò via un figlio e la sere­ni­tà, ma non la scrittura.

Le sue ope­re l’hanno resa immor­ta­le, anche oltre i con­fi­ni scan­di­na­vi. Sigrid Und­set è un mito del ‘900 euro­peo. Ecco, per esem­pio, il suo ritrat­to su una ban­co­no­ta nor­ve­ge­se da 500 corone.

Undset — Bentornata, Sigrid!

Und­set — Ben­tor­na­ta, Sigrid! 

La secon­da scrit­tri­ce nel cata­lo­go di Uto­pia è Sigrid Und­set, una del­le ico­ne del­la let­te­ra­tu­ra nor­ve­ge­se del ‘900. È un’autrice di cul­to in tut­ta Euro­pa e in Ame­ri­ca, ma pur­trop­po in Ita­lia i suoi volu­mi non si tro­va­no più in libre­ria da tem­po. Raf­fi­na­ta autri­ce di roman­zi, saghe, rac­con­ti e agio­gra­fie, è vis­su­ta a lun­go in Ita­lia e in Ger­ma­nia. Si rifu­giò negli Sta­ti Uni­ti quan­do i nazi­sti inva­se­ro la sua Nor­ve­gia. Era sta­ta, infat­ti, tra i pri­mi intel­let­tua­li al mon­do a espri­me­re pre­oc­cu­pa­zio­ne per l’ascesa di Mus­so­li­ni e Hitler.

Solo sedi­ci don­ne, in cen­to­ven­ti anni, han­no vin­to il pre­mio Nobel per la let­te­ra­tu­ra. Sigrid, pro­sa­tri­ce di pre­gio, è sta­ta la ter­za. Non voglia­mo dimen­ti­car­la, non possiamo.

A gen­na­io Uto­pia por­te­rà in libre­ria il pri­mo dei suoi tito­li. Il pri­mo di una lun­ga serie. Sie­te pron­ti a immer­ger­vi nel­la sua scrit­tu­ra? Sie­te pron­ti a soste­ne­re con noi una nuo­va, gran­de scrittrice?

“Gente en el tiempo”

Bon­tem­pel­li — “Gen­te en el tiempo” 

Una del­le case edi­tri­ci più fini di lin­gua spa­gno­la, Acan­ti­la­do, si è uni­ta al nostro pro­get­to di risco­per­ta del­le ope­re di Bon­tem­pel­li. Tra pochi mesi “Gen­te en el tiem­po” sarà dispo­ni­le in Spa­gna e in tut­to il Suda­me­ri­ca. Gra­zie ad Acan­ti­la­do e gra­zie alla mera­vi­glio­sa The Ella Sher Lite­ra­ry Agen­cy.

Carson — Anne e Giacomo

Car­son — Anne e Giacomo 

Anne Car­son è inna­mo­ra­ta di Gia­co­mo Leo­par­di. E come Leo­par­di ha inse­gui­to per tut­ta la vita ciò che gli occhi non vedo­no, ciò che rima­ne quan­do quel che si vede va perduto.

È un’au­tri­ce che sem­bra col­ma­re, con la pro­pria scrit­tu­ra, le lacu­ne dei suoi poe­ti più ama­ti: li stu­dia da filo­lo­ga, li inter­pre­ta da antro­po­lo­ga, li com­pren­de da poe­tes­sa. La sua let­te­ra­tu­ra è poli­fo­ni­ca e nei testi par­la­no i gran­di auto­ri del pas­sa­to: da Simo­ni­de a Catul­lo, da Saf­fo a Celan. È subli­me, abbia­mo pen­sa­to in Uto­pia, che una del­le più gran­di autri­ci del mon­do abbia sem­pre com­po­sto… per sottrazione.

Set­ti­ma­na pros­si­ma sapre­te il tito­lo che ripor­te­re­mo in libre­ria e la data d’u­sci­ta, sie­te pronti?

Carson — Benvenuta, Anne!

Car­son — Ben­ve­nu­ta, Anne! 

In mol­ti in Ita­lia aspet­ta­no da anni i suoi sag­gi, mai pub­bli­ca­ti in ita­lia­no. La quar­ta autri­ce del nostro cata­lo­go è Anne Car­son, “una degli auto­ri più impor­tan­ti del­la nostra era”, come reci­ta la moti­va­zio­ne del pre­mio Prin­ci­pes­sa del­le Astu­rie, vin­to dall’autrice poche set­ti­ma­ne fa.

“Scrit­tri­ce sapien­te”, dice di lei Harold Bloom, cul­tri­ce del­la let­te­ra­tu­ra gre­ca e lati­na, tra­dut­tri­ce, poe­tes­sa e antro­po­lo­ga, Car­son è tra le mas­si­me voci del­la let­te­ra­tu­ra cana­de­se e, più in gene­ra­le, anglofona.

Di lei tra­dur­re­mo tut­ti i sag­gi: ope­re tra­sver­sa­li, che per­cor­ro­no ram­pe di liri­smo puro, pog­gian­do­si, gra­di­no dopo gra­di­no, sui gran­di clas­si­ci del pen­sie­ro. Cor­ri­ma­no sal­do: la strut­tu­ra argo­men­ta­ti­va, i ricor­si dram­ma­tur­gi­ci e una cora­li­tà di cita­zio­ni da ogni lin­gua. L’opera di Anne Car­son non cono­sce peri­me­tri e rifug­ge le eti­chet­te. È let­te­ra­tu­ra puris­si­ma, que­sto è cer­to. Un’epitome mae­sto­sa del­la nostra epo­ca. E Uto­pia se ne occu­pe­rà a lungo.

Scanziani — Utopia

Scan­zia­ni — Utopia 

Tut­to è ini­zia­to a un tavo­lo del­la cre­me­ria Buo­nar­ro­ti, a Mila­no, una mat­ti­na d’inverno. Uto­pia era appe­na un’idea. “Ho let­to i suoi libri in biblio­te­ca. Mi ha sor­pre­so, è un auto­re straor­di­na­rio”, dico impac­cia­to. Sco­pria­mo di ama­re entram­bi la poe­sia. Abbia­mo fre­quen­ta­to la stes­sa uni­ver­si­tà. Entram­bi sia­mo nati in cit­tà del sud. “Nel­la sua cor­sa ver­so il vuo­to, l’editoria di oggi ha sacri­fi­ca­to libri come que­sti”, dice. Sono d’accordo, cono­sco bene l’editoria. La cono­scia­mo entram­bi, per la veri­tà, per­ché entram­bi abbia­mo lavo­ra­to come edi­tor e in case editrici.

Pro­se­guo io, par­lan­do di Cio­ran ed Elia­de, del­la mia sti­ma per la loro let­te­ra­tu­ra. Con­fes­so che pro­prio loro mi han­no por­ta­to a seder­mi al tavo­lo del­la Buo­nar­ro­ti, quel­la mat­ti­na. “Elia­de era con­vin­to che fos­se un genio”. E con­ti­nuo: “L’ha por­ta­to a un pas­so dal Nobel”. Poi chiu­do, sec­co: “Vor­rei che le ope­re di Pie­ro fos­se­ro uno dei pila­stri di Uto­pia. È un roman­zie­re visio­na­rio, è un sag­gi­sta atten­to ed empa­ti­co, ha una lin­gua poe­ti­ca ed evo­ca­ti­va”. Dall’altra par­te arri­va un sor­ri­so, poi una pro­mes­sa di rifles­sio­ne. “Pie­ro sareb­be sta­to feli­ce di tor­na­re in libre­ria, soste­nu­to da una squa­dra gio­va­ne e atten­ta, in un cata­lo­go di suoi pari”, con­clu­de. Ci salutiamo.

Pas­sa­no pochi gior­ni e Magì, la vedo­va di Pie­ro Scan­zia­ni, mi scri­ve. Ha deci­so. Vuol con­ce­de­re a Uto­pia il dirit­to di ripor­ta­re i tito­li del mari­to in libre­ria, uno dopo l’altro. È così che le sto­rie han­no ini­zio, quan­do la poe­sia cemen­ta l’intesa uma­na. Alla sua mail Magì alle­ga una foto: è con Pie­ro, sor­ri­do­no feli­ci. “Poche cose soprav­vi­vo­no alla mor­te”, mi dico, “e tra que­ste, sen­za dub­bio, l’amore e la letteratura”.

Billy Allegri, Traduttore

Bil­ly Alle­gri, Traduttore 

Tra­dur­re è tra­di­re, si dice. Qual è il tuo rap­por­to con la pagi­na in traduzione?
È un rap­por­to impron­ta­to all’ascolto, al rispet­to e alla cau­te­la. Pen­so al pro­ces­so tra­dut­ti­vo come a una pra­ti­ca amo­ro­sa che richie­de empa­tia con il testo, la sua inte­rez­za e uni­ci­tà, i pre­gi e i difet­ti, le varia­zio­ni di tono e di regi­stro, i silen­zi e le reti­cen­ze… È un pro­ces­so di umi­le inter­me­dia­zio­ne: si impa­ra a cono­sce­re e tra­sfor­ma­re l’altro acco­glien­do­lo e rispet­tan­do­lo, sen­za voler­lo cam­bia­re ma cer­can­do di ren­der­lo altret­tan­to libe­ro nel nuo­vo con­te­sto lin­gui­sti­co. Pur nel­la con­sa­pe­vo­lez­za che non sem­pre si rie­sce ad acco­glie­re “tut­to” del testo fon­te e non sem­pre si è in gra­do di libe­rar­lo com­ple­ta­men­te nel­la lin­gua d’arrivo. C’è chi lo chia­ma tra­di­re, io lo chia­mo sem­pli­ce­men­te tradurre.

Cosa resta di te nel­la resa in ita­lia­no di un’opera?
Mi augu­ro sem­pre che la mia mano riman­ga die­tro le quin­te, ma di cer­to non pos­so evi­ta­re che tra­spa­ia il coin­vol­gi­men­to emo­ti­vo, l’impegno intel­let­ti­vo e lin­gui­sti­co che, con tut­ti i limi­ti per­so­na­li, tem­po­ra­li e geo­gra­fi­ci, inter­ven­go­no e orien­ta­no le scel­te tra­dut­ti­ve. Per dir­lo alla Bec­kett, ogni vol­ta mi ripro­met­to di fail better.

Stai tra­du­cen­do un libro per Uto­pia che ha segna­to, nell’edizione ori­gi­na­le, la let­te­ra­tu­ra fran­ce­se. Pre­sto saran­no rive­la­ti i det­ta­gli sul pro­get­to. Cosa ti ha spin­to ad accet­ta­re la sfi­da di un edi­to­re emergente?
L’essere un edi­to­re nuo­vo, dal nome poi così signi­fi­ca­ti­vo ed evo­ca­ti­vo, che pre­sen­ta un pro­gram­ma edi­to­ria­le strut­tu­ra­to di qua­li­tà, auda­ce e fuo­ri dal coro. Quin­di il testo pro­po­sto: mi è sem­bra­to fin da subi­to mol­to sti­mo­lan­te, con­fer­man­do­si, nel cor­so di let­tu­ra e tra­du­zio­ne, dav­ve­ro bel­lo e impor­tan­te, direi anzi necessario.

Scanziani — A un passo dal Nobel

Scan­zia­ni — A un pas­so dal Nobel 

“Ieri sera, con Ione­sco e Cio­ran, abbia­mo cena­to da Colet­te e Clau­de Gal­li­mard. Ero di cat­ti­vo umo­re, apa­ti­co e, infi­ne, depres­so. La con­ver­sa­zio­ne gene­ra­le: si è par­la­to soprat­tut­to di malat­tie… Ho rice­vu­to oggi, per espres­so aereo, tre volu­mi di Pie­ro Scan­zia­ni. Tut­ti con la stes­sa dedi­ca: ‘A fra­te Mir­cea, fra­te Pie­ro’. Apro a caso “Libro bian­co”. Il testo mi con­qui­sta subi­to e leg­go, rapi­to, per alcu­ne ore. La gio­ia di sco­pri­re, alla mia età, un nuo­vo scrittore”.

Mir­cea Elia­de, filo­so­fo e antro­po­lo­go tra i mag­gio­ri del ‘900, appun­ta que­ste paro­le nel pro­prio dia­rio, il 28 giu­gno del 1984. È anzia­no, stan­co e mala­to, gli occhi non gli per­met­to­no più una let­tu­ra lun­ga. In alcu­ne set­ti­ma­ne stu­dia i sag­gi e i roman­zi di Pie­ro Scan­zia­ni; ne par­la, entu­sia­sta, con Vet­to­ri e Cio­ran. Da qual­che tem­po pre­sie­de una com­mis­sio­ne inter­na­zio­na­le che sele­zio­na e nomi­na, ogni anno, uno scrit­to­re al pre­mio Nobel per la let­te­ra­tu­ra. Per due anni di segui­to sce­glie Pie­ro Scan­zia­ni, pero­ran­do­ne la cau­sa a Stoc­col­ma. Pie­ro non vin­ce – sono gli anni del fran­ce­se Clau­de Simon e del nige­ria­no Wole Soy­in­ka – ma si apre la stra­da ver­so il suc­ces­so internazionale.
Cono­sce­va­te que­sta storia?

Barbara Teresi, Traduttrice

Bar­ba­ra Tere­si, Traduttrice 

Tra­dur­re è tra­di­re, si dice. Qual è il tuo rap­por­to con la pagi­na in traduzione?
Pen­sa­re alla tra­du­zio­ne in ter­mi­ni di fedel­tà o tra­di­men­to secon­do me è fuor­vian­te, per­ché la tra­du­zio­ne non è una mera tra­spo­si­zio­ne inter­lin­gui­sti­ca di signi­fi­can­ti e signi­fi­ca­ti. Tra­dur­re per me vuol dire acco­glie­re, met­ter­si all’ascolto, un ascol­to atten­to, rispet­to­so e cari­co di empa­tia nei con­fron­ti di que­sto “stra­nie­ro”, di que­sto “altro” che è il testo let­te­ra­rio. Quan­do tra­du­co mi met­to al ser­vi­zio del testo e, fer­ma restan­do la mas­si­ma atten­zio­ne nei con­fron­ti dell’originale, il mio obiet­ti­vo è cer­ca­re di fare in modo che il testo tra­dot­to susci­ti in chi lo leg­ge lo stes­so effet­to che il testo ori­gi­na­le pro­du­ce sui suoi lettori.

Cosa resta di te nel­la resa in ita­lia­no di un’opera?
Resta il mio sguar­do, la mia let­tu­ra di quel testo. Gesual­do Bufa­li­no ha scrit­to che “il tra­dut­to­re è con evi­den­za l’unico auten­ti­co let­to­re di un testo”. Ecco, per me il tra­dut­to­re è una sor­ta di pro­to­let­to­re, e poi­ché leg­ge­re è inter­pre­ta­re, lo sguar­do di chi tra­du­ce è ine­vi­ta­bil­men­te pre­sen­te, per quan­to si pos­sa cer­ca­re di man­te­ner­si il più pos­si­bi­le invi­si­bi­li. La tra­du­zio­ne è un’arte per­for­ma­ti­va, è ese­gui­re una musi­ca che qual­cun altro ha com­po­sto. Così come uno spar­ti­to, una sequen­za di note non è di per sé una melo­dia, fin­ché qual­cu­no non la suo­na, dan­do vita a quei segni attra­ver­so la pro­pria inter­pre­ta­zio­ne, il testo let­te­ra­rio pren­de vita ed esi­ste solo nel momen­to in cui qual­cu­no lo leg­ge, lo fa risuo­na­re in sé. Per dir­la con le bel­le paro­le di Fran­ci­sco Umbral: “Il libro è solo il pen­ta­gram­ma dell’aria che il let­to­re deve can­ta­re. […] Da quei segni, da quel­le let­te­re stam­pa­te for­mi­co­lan­ti e sec­che, la mia imma­gi­na­zio­ne innal­za un mon­do, un bosco, un’idea, e dal­le pagi­ne del libro esco­no con­ti­nua­men­te uccel­li in volo”. Tra­dur­re è un po’ que­sto, è suo­na­re uno spar­ti­to, è tra­sfor­ma­re le let­te­re in melo­die. Una for­ma pri­vi­le­gia­ta di lettura.

Stai tra­du­cen­do un libro per Uto­pia che ha segna­to, nell’edizione ori­gi­na­le, la let­te­ra­tu­ra ara­ba. Pre­sto saran­no rive­la­ti i det­ta­gli sul pro­get­to. Cosa ti ha spin­to ad accet­ta­re la sfi­da di un edi­to­re emergente?
Se non amas­si le sfi­de, pro­ba­bil­men­te non avrei scel­to que­sto mestie­re. Alla base del pro­get­to di Uto­pia c’è una con­ce­zio­ne dell’editoria e del­la let­te­ra­tu­ra in cui mi ritro­vo pie­na­men­te. L’idea di pri­vi­le­gia­re il valo­re squi­si­ta­men­te let­te­ra­rio di un’opera anzi­ché lasciar­si gui­da­re solo dal­le logi­che di mer­ca­to è piut­to­sto in con­tro­ten­den­za nell’attuale pano­ra­ma edi­to­ria­le e per come la vedo io è ciò di cui la nostra edi­to­ria ha biso­gno: una vera e pro­pria boc­ca­ta d’ossigeno.