Salotto letterario

Billy Allegri, Traduttore

Bil­ly Alle­gri, Traduttore 

Tra­dur­re è tra­di­re, si dice. Qual è il tuo rap­por­to con la pagi­na in traduzione?
È un rap­por­to impron­ta­to all’ascolto, al rispet­to e alla cau­te­la. Pen­so al pro­ces­so tra­dut­ti­vo come a una pra­ti­ca amo­ro­sa che richie­de empa­tia con il testo, la sua inte­rez­za e uni­ci­tà, i pre­gi e i difet­ti, le varia­zio­ni di tono e di regi­stro, i silen­zi e le reti­cen­ze… È un pro­ces­so di umi­le inter­me­dia­zio­ne: si impa­ra a cono­sce­re e tra­sfor­ma­re l’altro acco­glien­do­lo e rispet­tan­do­lo, sen­za voler­lo cam­bia­re ma cer­can­do di ren­der­lo altret­tan­to libe­ro nel nuo­vo con­te­sto lin­gui­sti­co. Pur nel­la con­sa­pe­vo­lez­za che non sem­pre si rie­sce ad acco­glie­re “tut­to” del testo fon­te e non sem­pre si è in gra­do di libe­rar­lo com­ple­ta­men­te nel­la lin­gua d’arrivo. C’è chi lo chia­ma tra­di­re, io lo chia­mo sem­pli­ce­men­te tradurre.

Cosa resta di te nel­la resa in ita­lia­no di un’opera?
Mi augu­ro sem­pre che la mia mano riman­ga die­tro le quin­te, ma di cer­to non pos­so evi­ta­re che tra­spa­ia il coin­vol­gi­men­to emo­ti­vo, l’impegno intel­let­ti­vo e lin­gui­sti­co che, con tut­ti i limi­ti per­so­na­li, tem­po­ra­li e geo­gra­fi­ci, inter­ven­go­no e orien­ta­no le scel­te tra­dut­ti­ve. Per dir­lo alla Bec­kett, ogni vol­ta mi ripro­met­to di fail better.

Stai tra­du­cen­do un libro per Uto­pia che ha segna­to, nell’edizione ori­gi­na­le, la let­te­ra­tu­ra fran­ce­se. Pre­sto saran­no rive­la­ti i det­ta­gli sul pro­get­to. Cosa ti ha spin­to ad accet­ta­re la sfi­da di un edi­to­re emergente?
L’essere un edi­to­re nuo­vo, dal nome poi così signi­fi­ca­ti­vo ed evo­ca­ti­vo, che pre­sen­ta un pro­gram­ma edi­to­ria­le strut­tu­ra­to di qua­li­tà, auda­ce e fuo­ri dal coro. Quin­di il testo pro­po­sto: mi è sem­bra­to fin da subi­to mol­to sti­mo­lan­te, con­fer­man­do­si, nel cor­so di let­tu­ra e tra­du­zio­ne, dav­ve­ro bel­lo e impor­tan­te, direi anzi necessario.