
“L’unico strumento del nostro lavoro sarà l’immaginazione”, recita la targa in marmo affissa al pilastro del cancello. A fine gennaio non avrei mai pensato che in poche settimane prendere un treno sarebbe diventato così complesso. All’alba sono partito da Milano, direzione Roma, con una proposta editoriale in tasca.
Ad aspettarmi, in zona Parioli, oltre la targa commemorativa dedicata a Bontempelli e alla Masino, nella casa dove a lungo la coppia di scrittori visse, Alvise Memmo, nipote del romanziere. Gli autografi, il servizio da tè, i ritratti di Savinio. Una lunga conversazione sulla poetica, sullo stile, sulla fortuna editoriale di Bontempelli. Aneddoti, particolari, retroscena. “Sai”, mi ha detto l’erede, “molte case editrici hanno chiesto i diritti sui libri di Massimo”. E ne ha fatto i nomi, gli stessi nomi che vengono in mente a tutti quando si pensa a una casa editrice. “L’interesse è vivissimo”, ha aggiunto. Io ho temuto il peggio e per un attimo mi sono perso nelle sfumatura di un de Chirico fissato, dietro di lui, alla parete del salotto. “Molti hanno chiesto, ma nessuno con un progetto così ambizioso. È giusto che Massimo torni in libreria e che a curarlo sia un gruppo di ragazzi che è nato trent’anni dopo la sua morte”.
In quel momento Utopia ha preso forma, realtà quotidiana che ha il nome dell’ineffabile. Molti altri autori ne hanno condiviso la strada in queste settimane, è vero. Ma Utopia è nata quel giorno, tra le carte di Massimo, nel luogo che più ha amato.
(Gerardo Masuccio, editor di Utopia)